Intelligenza artificiale come provocazione di senso
L’intelligenza artificiale è un nuovo modo d’essere (abitato) del nostro pianeta. Prefigura (e configura) l’ennesima ultima terraformazione della Terra, l’imminente nuova condizione d’esistenza e d’esperienza del nostro mondo. Come per altri passaggi nella storia della civilizzazione umana, scardinerà ordini del discorso (regimi di verità/falsità) e modi di produzione (regimi di realtà/irrealtà). A questa sfida epocale (non episodica) stiamo oggi faticosamente tentando di rispondere con strategie varie e auspicate come convergenti: istruzione educativa, regolazione giuridica, conformazione etica, direzione politica. Necessarie naturalmente. Ma temo, però anche, non sufficienti. Imprescindibili tutte dunque, ma non bastanti per la missione che ci attende. Perché la dimensione esistenziale in divenire che abbiamo qualificato ideologicamente come <intelligenza artificiale> è, in ultima istanza, una provocazione di senso planetaria. Evoca e sostanzia, cioè, un radicale attacco culturale all’idea (storicamente costruita e diveniente) di umano e di civiltà umana. Un colpo, questo, che ha sorpreso non poco la specie sapiens arrivando a produrre, quasi all’improvviso e sulla sua viva pelle, una nuova ferita narcisistica, profonda e dolorosa. La cura approntata, oggi, per questo trauma da politica, educazione, etica e legge è, in buona misura, di natura narcotica (lo dico con un intento esplorativo e istigativo voluto). È, direi, fondamentalmente una strategia sedativa delle inquietudini speciste e palliativa delle criticità tecniche. Di conseguenza, i discorsi più comuni ripetono un mantra pressoché unico e consolatorio: l’umano deve rimanere nel loop e in controllo, deve essere al centro e all’apice delle decisioni, deve confermarsi come unica soggettività intelligente, cosciente, senziente. Nella gran parte dei casi, si tratta di una forma di narcosi del pensiero talvolta accompagnata da una palese volontà anestetica dell’etica. Oltre che della politica, del diritto, dell’educazione e di molto altro. Antropologicamente condivisibile e confortante certo, ma filosoficamente digiuna e culturalmente ingenua. Perché con il dispiegarsi planetario dell’intelligenza artificiale, noi non affronteremo solo problemi tecnici (con vulnerabilità e rischi reali di discriminazioni, manipolazioni, deprivazioni, alienazioni, contraffazioni e così via). Piuttosto e più radicalmente noi fronteggeremo delle provocazioni intellettuali. A partire da quella primaria sulla natura dell’umano (chi siamo? o meglio, chi diveniamo?) declinata poi in molte altre domande di senso e di scopo. E se ai problemi tecnici lavoreremo nel tempo e a tentativi per trovare una qualche soluzione ingegneristica (informatica, legale, istituzionale), alle provocazioni intellettuali dovremo, invece, rispondere inevitabilmente con l’innovazione culturale. A questo compito più alto siamo oggi chiamati tutti e tutte: alla produzione di nuovo senso e di nuovi significati per questo nostro nuovo abitare terrestre e poi in futuro, chissà, magari anche esoplanetario. Detto poeticamente, dobbiamo allora avere il coraggio di fare pensieri <sovrumani>. Per andare oltre l’umano noto e dato e promuovere nuovi orizzonti. Più inclusivi, più sostenibili, più giusti, più prosperi e more-than-human. Sovrumani per l’appunto e non sovrani. (continua 1/n)
