Prompt engineering come immanente chaos engineering (Accoto 2023)

“Filosoficamente e operativamente, il prompt engineering è una forma immanente ultima di chaos engineering” (Accoto 2023)

“È opinione diffusa e discorso circolante che bisogna ‘governare la tecnologia’. Da ultimo, in ordine di tempo, quella dell’intelligenza artificiale. A fronte delle arrischiate uncanny valley che stiamo attraversando (e, in una qualche misura, anche già abitando), si sollevano richieste accorate di mettere a governo (giuridico, etico, sociale, politico…) le ondate tecnologiche in essere e in divenire. Vulnerabilità e rischi di varia natura sono i fattori scatenanti queste volontà disciplinari e normative. Naturalmente, c’è un che di condivisibile e consolante (e anche di giusto) in questi richiami alla governabilità della dimensione tecnica. E, tuttavia, mi sembra però anche che queste esortazioni governamentali palesino tutte, in fondo, una certa naïveté culturale e filosofica. Se non anche un velato e intenzionale offuscamento e/o dirottamento del discorso. In che senso diciamo che la tecnologia è governabile? A quali condizioni immaginiamo si possa governare? Come, quando e per cosa deve essere sottoposta a governo la tecnica? Le sue intenzioni o le sue applicazioni? Le innovazioni del presente o le loro conseguenze all’orizzonte? E che dire dell’economia politica della tecnica? È solo ingegneria o è anche e soprattutto politica? Va da sé che, se necessita di regole, è perché è ritenuta o incapace da sé di governo (inabilità) oppure addirittura proprio renitente al governo (indisponibilità). L’ingovernabilità è temuta e negata. In tutti i casi e comunque, la governabilità è data e presupposta. La tecnologia è governabile, si può governare e si deve governare. E così sempre più, principi, valori, modelli, leggi, regole, pratiche sono evocati per incatenare, prometeicamente, la tecnica. Con un paradosso, la cibernetica, scienza del controllo, richiede di essere a sua volta controllata. Ma è proprio così linearmente e ingenuamente che stanno le cose? Che mandato (si) è dato alla tecnica?” (Accoto 2023)

———————-

Philosophically and operationally, prompt engineering is an ultimate immanent form of chaos engineering” (Accoto 2023).

“There is a widespread opinion and discourse that we need to ‘govern’ technology. Most recently, in the order of time, that of artificial intelligence. In view of the risky uncanny valleys we are currently passing through (and to some extent already inhabiting), heartfelt calls are being made for the (legal, ethical, social, political…) governance of existing and emerging technological waves. Vulnerabilities and risks of various kinds are the triggers of these disciplinary and normative wills. Of course, there is something sympathetic and comforting (and even right) in these calls for the governability of the technological dimension. And yet, it also seems to me that these governmental exhortations all reveal a certain cultural and philosophical naivety. If not a veiled and deliberate obfuscation and/or hijacking of the discourse. In what sense do we say that technology is governable? Under what conditions do we imagine that it can be governed? How, when and why does technology need to be governed? Its intentions or its applications? The innovations of the present or their consequences on the horizon? And what about the political economy of technology? Is it only technical or is it also and above all political? Of course, if it needs rules, it is because it is seen as either incapable of governing itself (ungovernability) or even unwilling to be governed (unwillingness). Ungovernability is feared and denied. In all cases, however, governability is given and assumed. Technology is governable, it can and must be governed. And so more and more principles, values, models, laws, rules, practices are invoked to chain technology in a Promethean way. Paradoxically, cybernetics, the science of control, also demands to be controlled. But is this really linear and naive? What mandate is given to technology?” (Accoto 2023)

Abitare nuove uncanny valley (Accoto 2023)

[MIT SpaceTech 2023] Atterrare, attraversare e finanche abitare nuove, uncanny valley: è il senso del nostro ‘divenire’ umani, nuovamente e diversamente ogni volta (dalle terre aliene dei modelli linguistici, sintetici e inflattivi, alla GPT fino alle lande desertiche delle missioni interplanetarie su Marte). Non potremo abitare in consapevolezza, fiducia e prosperità queste vallate perturbanti semplicemente restando umani, ma divenendo umani in modo diverso ancora una volta. Se l’umano è/diviene soglia come si dice postmodernamente, la filosofia è/diviene sempre fuori di sè … 

[photo: MIT SpaceTech 2023]

“Il doppio del mondo. Dai mirror world ai digital twin” (Accoto, MIT Sloan Management Review Italia, 1/2023)

[articolo] Pubblicato oggi un mio lungo articolo sul nuovo numero di MIT Sloan Management Review Italia (1/2023). Questo numero della rivista è dedicato al tema dei gemelli digitali e il titolo del mio articolo è: “Il doppio del mondo. Dai mirror world ai digital twin”. Un grazie di cuore ad Edizioni ESTE (casa editrice italiana della rivista) e al direttore della rivista Francesco Varanini per l’invito e l’ospitalità. Un numero ricco di contributi da leggere interamente per approfondire, tra opportunità e vulnerabilità, un paradigma trasformativo di assoluto rilievo per imprese, organizzazioni, istituzioni, professionisti, manager e cittadini.

Maggiori info per acquisti e abbonamenti sul sito di Este al link
https://www.este.it/mit-sloan-management-review-italia/

Simulacri dell’umana intelligenza (Accoto, HBR, marzo 2023)

Qui trovate il mio articolo pubblicato su Harvard Business Review (marzo 2023) “sull’era della parola sintetica”. Un grazie al direttore Enrico Sassoon per l’interesse verso le mie esplorazioni filosofiche arrischiate, per l’invito a contribuire allo speciale sull’intelligenza artificiale e l’ospitalità dentro le pagine dell’ultimo numero della rivista.

“Attraverseremo e abiteremo una nuova uncanny valley: l’era inflattiva dell’intelligenza artificiale generativa. Linguaggi macchinici, immagini artificiali, musiche sintetiche, mondi virtualizzati, identità avatariche e molto altro. Come ho scritto nel mio saggio “Il mondo in sintesi”, è un nuovo catalogo del reale che nasce popolato di contenuti, informazioni, creazioni, storie, simulazioni, giochi, esperienze che non hanno precedenti nella storia della civiltà umana. O meglio: questa è l’ennesima, nuova spinta mediale inflattiva che arriva a turbare e scardinare radicalmente logiche e dinamiche consolidate da qualche tempo per l’umano su questo pianeta. Tuttavia, un’era mediale inflazionaria non è tale solo per l’esplosione di tecniche riproduttive, contenuti mediali, veicoli distributivi o velocità di circolazione. “A media age does not become inflationary merely because of the multiplications of kinds, speed, and power of media, however. Media become inflationary when the scope of their representation of the world threatens the confines of their culture’s prior notions of reality” (Medialogies, Castillo & Egginton). È un attacco alla nozione di realtà e alla sua rappresentazione (storicamente determinata) che l’umano ha prodotto e di cui istanzia il collasso. A fronte di questo attacco e collasso, un umanesimo impaurito o arrabbiato, ma anche per converso ingenuamente entusiasta non ci aiuterà. Non sarà una soluzione un umanesimo che proponga timorosamente la restaurazione culturale del ‘tornare all’umano’ o del ‘restare umani’. Piuttosto, dobbiamo prepararci a sfide importanti e di lungo periodo al di là delle banalità e delle ingenuità che si possono leggere quotidianamente. Siamo in una uncanny valley tecnologica tutta da esplorare nuovamente nelle sue potenzialità e vulnerabilità. Come in altre epoche inflazionarie, abbiamo bisogno di un umanesimo che sappia coraggiosamente promuovere un’innovazione culturale. Come fece, ad esempio, Lorenzo Valla inventando nel 1440 la filologia (De falso credita et ementita Constantini donatione) a contrasto delle vulnerabilità della neonata parola “scritta” (e poi stampata) dopo l’era della parola “detta”. All’epoca, per cogliere i benefici di quell’era inflazionaria abbiamo avuto bisogno di fare innovazione culturale. Allo stesso compito siamo chiamati oggi dentro questa nuova era inflazionaria dell’intelligenza artificiale generativa” (Accoto 2023, postilla)

Simulacri dell’umana intelligenza (Accoto, HBR, marzo 2023)

Un mio lungo articolo è stato pubblicato nel numero in uscita della rivista Harvard Business Review Italia (marzo 2023). Si intitola “Simulacri dell’umana intelligenza” ed è inserito nello speciale di HBR sull’intelligenza artificiale (che trovate in edicola e in rete). Un grazie al direttore Enrico Sassoon per l’interesse verso le mie esplorazioni filosofiche e per l’invito a contribuire al nuovo numero. Buona lettura! cc 

In dialogo con Luca De Biase sulle intelligenze artificiali inflattivo-generative (Accoto 2023)

in dialogo con il direttore Luca De Biase, editor per l’innovazione al Sole24Ore, nel format di War Room InnovAction. Un grazie per l’interesse, per l’invito e l’ospitalità. Abbiamo conversato su diversi temi legati all’impatto dell’intelligenza artificiale e anzitutto sul superamento del paradigma tecno-centrico dell’AI. La cosiddetta ‘intelligenza artificiale’ non è mai da pensare ‘in sé’ e ‘per sé’ (artefatto macchinico), ma sempre ‘con altri’ e ‘per altri’ (assemblaggio sociotecnico) tra antropomorfismi e sociomorfismi. Poi abbiamo discusso dei nuovi linguaggi sintetici (GPT e affini) che simulano le competenze linguistiche umane (abbastanza bene quelle ‘formali’ interne al linguaggio, deboli o assenti quelle ‘funzionali’ tra linguaggio, pensiero e mondo); dell’innovazione culturale necessaria per fronteggiare le provocazioni intellettuali delle macchine mediali inflattivo-simulative (come fece Lorenzo Valla nel 1440 inventando la filologia per arginare le vulnerabilità all’arrivo della parola scritta e stampata dopo la parola detta); della novità epistemica e dei benefici dei gemelli digitali, una nuova rivoluzione nella conoscenza; di Leonardo da Vinci e di un’analogia tra le sue dissezioni cadaveriche e le contemporanee simulazioni computazionali; delle piattaforme come infostrutture planetarie e delle loro esternalità negative da arginare e negoziare con strategie nuove (il fact checking o l’educazione digitale non bastano). Un grazie ancora a Luca. Potete rivedere la conversazione (40 minuti) sotto linkata 👇

L’uncanny valley delle generative AI (Accoto 2023)

“Attraverseremo e abiteremo una nuova uncanny valley: l’era inflazionaria dell’intelligenza artificiale generativa. Linguaggi macchinici, immagini artificiali, musiche sintetiche, mondi virtualizzati, identità avatariche e molto altro. È un nuovo catalogo del reale che nasce popolato di contenuti, informazioni, creazioni, storie, simulazioni, giochi, esperienze che non hanno precedenti nella storia della civiltà umana. O meglio: questa è l’ennesima, nuova spinta mediale inflattiva che arriva a turbare e scardinare radicalmente logiche e dinamiche consolidate da qualche tempo per l’umano su questo pianeta. Tuttavia, un’era mediale inflazionaria non è tale solo per l’esplosione di tecniche riproduttive, contenuti mediali, veicoli distributivi o velocità di circolazione. “A media age does not become inflationary merely because of the multiplications of kinds, speed, and power of media, however. Media become inflationary when the scope of their representation of the world threatens the confines of their culture’s prior notions of reality” (Medialogies, Castillo & Egginton). È un attacco alla nozione di realtà e alla sua rappresentazione (storicamente determinata) che l’umano ha prodotto e di cui rappresenta il collasso. A fronte di questo attacco e collasso, un umanesimo impaurito o arrabbiato, ma anche per converso ingenuamente entusiasta non ci aiuterà. Non sarà una soluzione un umanesimo che proponga timorosamente la restaurazione culturale del ‘tornare all’umano’ o del ‘restare umani’. Piuttosto, dobbiamo prepararci a sfide importanti e di lungo periodo al di là delle banalità e delle ingenuità che si possono leggere quotidianamente. Siamo in una uncanny valley tecnologica tutta da esplorare nuovamente nelle sue potenzialità e vulnerabilità. Come in altre epoche inflazionarie, abbiamo bisogno di un umanesimo che sappia coraggiosamente promuovere un’innovazione culturale. Come fece, ad esempio, Lorenzo Valla inventando nel 1440 la filologia (De falso credita et ementita Constantini donatione) a contrasto delle vulnerabilità della neonata parola “scritta” (e poi stampata) dopo l’era della parola “detta”. All’epoca, per cogliere i benefici di quell’era inflazionaria abbiamo avuto bisogno di fare innovazione culturale. Allo stesso compito siamo chiamati oggi dentro questa nuova era inflazionaria dell’intelligenza artificiale generativa” (Accoto 2023)

Il software come scrittura che rischia l’essere del mondo” (Accoto 2023)

“Tra cyberguerra e cyberpace, esiste una qualche esperienza della programmazione che possa dirsi e farsi sicura? E se non esiste, che cosa rappresenta filosoficamente questa insicurezza ontologica? Possiamo considerare ad es. gli attacchi alle forme della scrittura della nostra contemporaneità (alla programmazione) un’innovativa forma contemporanea di decostruzione filosofica? Semplificando, se consideriamo la programmazione, il codice e i programmi software la forma particolare di scrittura del nostro presente, allora la criminalità informatica, nelle sue varie e cangianti forme, può rappresentare una sorta di contemporanea filosofia decostruttiva operata con altri mezzi? Come per i processi decostruttivi filosofici più tradizionali la criminalità informatica (e la cyberguerra) replica una specifica logica: attacca una testualità, dice Justin Joque. In questo caso quella della programmazione. Un attacco al testo-codice, non più al testo-libro. Se consideriamo le linee di codice che reggono la nostra società come razionalità testualizzata, allora un’intrusione dentro quella scrittura è un atto di scardinamento filosofico-decostruttivo del nostro reale. Ma insieme agli attacchi esogeni, le vulnerabilità di questa nuova scrittura-codice del mondo sono però anche costitutive e connaturate. Così, ad esempio, le operazioni di rifattorizzazione del codice sono chiamate a rivelarne l’intricatezza nascosta e a rimediare alla sua degradazione nel tempo e nella scala. Speculativamente e operativamente il refactoring del software è una pratica arrischiata e vitale, indesiderata e inevitabile al tempo stesso. È evocata a preservare la familiarità umana con un codebase ingigantito da servizi e applicazioni riducendone la complessità non necessaria ed aumentandone la performatività (senza mettere a rischio il suo funzionamento, ad es., svegliando bug dormienti tra milioni di linee di codice). Questa ristrutturazione del codice esistente (re-factoring), dunque, si fa carico della leggibilità degradante della scrittura/fabbrica vivente del mondo. Più filosoficamente, il refactoring avverte e affronta, dunque, il rischio della programmazione (del coding) come scrittura degradabile e indecifrabile del mondo. Dunque, un rischio interno di fallibilità (fallibility) e uno esterno di vulnerabilità (vulnerability). Una scrittura che rischia, dunque, l’essere del mondo. Se non esiste nessuna esperienza della computazione che possa dirsi al sicuro e possa farsi sicura (la computazione è, di fatto, contingente e quindi degradabile, fallibile, vulnerabile), come possiamo costruire nuove forme di affidabilità e sicurezza (cyberinsurance) dentro un’insicurezza ontologica nativa della programmazione? Di quale innovazione culturale abbiamo ancora bisogno per poter mitigare al meglio i rischi sociali (tra mancato patching, collassi e attacchi) connessi alla sicurezza computazionale?” (Accoto 2023)