La mia intervista sulla relazione tra filosofia e tecnologia attraverso il codice, i sensori, gli algoritmi, i dati e le piattaforme. “… Per analizzare filosoficamente il software non basta, tuttavia, essere in grado tecnicamente di leggerlo o saper vedere che cosa è in grado di produrre o riuscire a interpretare i perché sociali ed economici del suo sviluppo oppure ancora a individuarne la corretta categoria giuridica. Dobbiamo capire in profondità il senso e la natura del suo essere e, meglio ancora, la sua ontogenesi, cioè come il software diventa quello che «è». È, di fatto, il linguaggio con cui, oggi, “scriviamo il mondo” e che detta le condizioni di possibilità delle nostre esperienze. Ma è un tipo particolare di linguaggio. Ha la caratteristica di essere «eseguibile». Anzi, per alcuni è l’unico linguaggio che ha questa capacità. Mentre il linguaggio naturale che usiamo normalmente produce cambiamenti nella mente e nel comportamento delle persone (con esito incerto, aggiungerei), il codice, una volta predisposto perché funzioni correttamente, è un linguaggio che produce esattamente gli effetti che sono iscritti. È una strumentalità realizzata che fa accadere cose ed eventi nel mondo, un mondo che perciò diviene “programmabile”.”