L’economia digitale, paradossalmente, manca di un’analisi filosofica profonda di cosa è un “oggetto digitale”. Una lacuna che rischia di aggravarsi nel momento in cui vengono emergendo criptosistemi che di un’economia della creazione, conservazione e circolazione di oggetti digitali fanno un utilizzo intenso oltre che la ragione prima della loro esistenza. Più in specifico, creazione, conservazione e circolazione di “oggetti-valori” digitali senza duplicazione inflazionaria (scarsità digitale) e senza centralizzazione fiduciaria (trust protocollare). In sintesi estrema, questa è la natura e la finalità dell’emergente paradigma culturale e protocollo tecnologico popolarizzato con il termine di blockchain e, più complessivamente, di un’economia “post-bizantina”, come l’ho chiamata provocatoriamente. Nel caso della neonata criptoeconomia, questi oggetti-valori digitali prendono l’etichetta complessiva di “cryptoasset” e sono categorizzati in entità differenti. Vari i criteri di qualificazione così come i modelli interpretativi, oltre che in costante evoluzione.
Le classificazioni correnti sono orientate ad individuare tre macro-gruppi con proprietà distinte: a) security o investment token; b) utility o network token; c) currency e commodity token. Si trovano anche, a complicare il panorama, altre etichette o specificazioni: per security token (share-like, equity, fund, derivate, ownership token), per utility token (application, infrastructure, governance, work, burn&mint token), per currency token (native coin, payment token, stable coin, transaction coin) e così via. In alcuni casi si tratta di varianti lessicali. In altri casi siamo di fronte a oggetti-valori digitali con proprietà -ad esempio legali- anche molto differenti tra loro. Alcuni analisti semplificano individuando solo due gruppi di oggetti-valori digitali: i token da investimento e i token da utilizzo. Anzitutto, però, chiediamoci: cosa è un “oggetto digitale” e qual è il suo modo di esistenza? Qual è l’ontologia di un oggetto digitale, direbbero i filosofi? E in che senso (e se e come) si distingue da un oggetto naturale e da un oggetto tecnico?
O, per essere più concreti, quando Satoshi Nakamoto scrive -nel suo paper fondativo del protocollo di rete Bitcoin- “definiamo una moneta elettronica come una catena di firme digitali”, che statuto ontologico dobbiamo assegnare a questo oggetto digitale (catena di firme digitali) progettato dal suo creatore per fungere da moneta? ….
(Accoto 2018, work in progress)