Dalle macchine di Turing alle istituzioni di Turing? (Accoto 2024)

< È opinione comune che bisogna ‘governare la tecnologia’. Da ultimo, in ordine di tempo, quella dell’intelligenza artificiale. A fronte delle arrischiate uncanny valley che stiamo attraversando (e anche già abitando), si sollevano richieste accorate di mettere a governo (giuridico, etico, sociale, politico…) le ondate tecnologiche in essere e in divenire (intelligenze artificiali, monete crittografiche, computer quantistici ad es). Vulnerabilità e rischi di varia natura sono i fattori scatenanti queste volontà normative a tre fondamenti (mercato in us, persona in eu, stato in ch). Certo, c’è un che di condivisibile e consolante (e di giusto) in questi richiami alla governabilità della dimensione tecnica. E, tuttavia, mi sembra però anche che queste esortazioni governamentali palesino tutte, in fondo, una certa naïveté culturale e filosofica. In che senso diciamo che la tecnologia è governabile? A quali condizioni immaginiamo si possa governare? Come, quando e per cosa deve essere sottoposta a governo la tecnica? Le sue fondazioni o le sue applicazioni? Le innovazioni del presente o le loro conseguenze all’orizzonte? E che dire dell’economia politica della tecnica? È solo ingegneria o è anche e soprattutto politica? Va da sé che, se necessita di regole, è perché è ritenuta o incapace di auto-governo (inabilità) oppure addirittura proprio renitente al governo (indisponibilità). L’ingovernabilità è temuta e negata. In tutti i casi, la governabilità è data e presupposta. La tecnologia è governabile, si può governare e si deve governare. E così sempre più, principi, valori, modelli, leggi, regole, pratiche sono evocati dall’esterno per incatenare una tecnica scatenata. Con un paradosso, la cibernetica, scienza massima del controllo, richiederebbe di essere a sua volta controllata. Ma è proprio così? E se, invece, ruotando la questione, il governo delle nuove tecnologie non fosse anche e soprattutto da ultimo un tema di tecnologie del nuovo governare? E se (come suggeriscono Berg, Davidson, Potts) dopo aver costruito le “macchine” di Turing, avessimo in cantiere anche di costruire le “istituzioni” di Turing? Se così fosse la questione del governo della tecnologia va ripensata radicalmente rispetto agli attuali modelli e discorsi che mi sembrano umanamente comprensibili, ma ingenui filosoficamente e digiuni politicamente. E, dunque, fatte le macchine (Turing machines), bisognerà fare le istituzioni corrispondenti (Turing institutions)? A noi spetta di cogliere criticamente questo nuovo passaggio e divenire dell’agire politico (e/o impolitico, direbbe Esposito). Dove impolitico non significa antipolitico, ma ‘il politico stesso guardato dal suo confine esterno o interno’ (Esposito). Chiediamoci, allora: quali nuove progettualità, quali nuove vulnerabilità, ma anche immunità emergeranno in virtù dell’impolitica dell’intelligenza artificiale oltre l’anestetica dell’etica? > (Accoto 2024)

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Cosimo Accoto

Research Affiliate at MIT | Author "Il Mondo Ex Machina" (Egea) | Philosopher-in-Residence | Business Innovation Advisor | www.cosimoaccoto.com