“C’è un’espressione umanamente accomodante e però anche filosoficamente ingenua che circola nei discorsi più comuni intorno alla nostra relazione -culturalmente e ideologicamente dicotomica- con le macchine. L’espressione è “human-in-the-loop” (HITL). In genere è tradotta e intesa come mantenere “l’umano nel ciclo”. Prevede alcune varianti (come “on-the-loop”) e naturalmente anche il suo contrario (“off-the-loop”). Il suo senso più generale è quello di un invito a policy maker, service designer, software developer, brand marketer a lasciare sempre all’umano la decisione e il controllo ultimi su apparati, architetture, dispositivi, macchine. E più complessivamente sui processi dell’automazione spinta delle cd. intelligenze artificiali. Il discorso ha molteplici valenze: politiche, economiche, morali, legali. Prospettiva da molti condivisa, ma superficiale e ingenua direi. Di fatto, l’umano è già sempre presente nel processo di costruzione, produzione e uso delle tecnologie: quando progetta, testa, addestra, seleziona, usa, corregge, etichetta e così via. Ma direi di più: essendo l’assemblaggio umano-macchina sempre un sistema o reticolato sociotecnico, l’umano è sempre in controllo sia che sia “in-the-loop” (che qualche altro umano lo abbia incluso nel ciclo) sia che sia “off-the-loop” (che qualche altro umano lo abbia escluso). Ma dire questo non è ancora dire tutto. Questo storico assemblaggio umano-macchina, di volta in volta aggiornato, con le sue nuove articolazioni, stratificazioni e distribuzioni cambia i modi di produzione della conoscenza e di divisione del lavoro tra le parti. In effetti, la cd. AI è insieme sorprendente λόγος, ma anche nuovo ἔργον. Non solo conoscenza (discorso), ma lavoro (opera). E determina anche, più profondamente e per ora invisibilmente, uno spostamento di potere e di agenti, di modi e luoghi dell’esercizio del decidere. Dire, allora, che la decisione rimane umana è una naïveté culturale e filosofica. È una prospettiva aspirazionale che rimane in superficie e non coglie il movimento dialettico del reale. Il denso lavoro ricostruttivo sulla storia della “computer vision” di Dobson appena uscito (2023) erode la superficialità di questa narrativa (ideologia) ingenua mostrando tutta l’articolazione di questo assemblaggio umano-macchina e di come si sia trasformato nel corso del tempo in questa coevoluzione (del vedere, del conoscere, del decidere). Coevoluzione che come quella biologica tra le specie ha forme diverse: mutualismo, parassitismo, competizione, predazione. E solo una di queste porta beneficio ad entrambe le specie coinvolte. Negli altri casi, il gioco è sempre arrischiato quando non proprio mortale” (Accoto 2023)
